di Paolo Lambruschi
Avvenire – 23 ottobre 2019
Solo il 2,4% di notizie sul Continente
nero e la maggioranza parla di immigrazione. Un racconto ansiogeno che genera
paure o una visione appiattita e senza speranza. Tra i quotidiani Avvenire
è il migliore
Ai margini, oppure italianizzata per essere funzionale alle esigenze
dell’attualità di casa nostra e parlare solo di immigrazione. Il primo dossier
di Amref, «L’Africa Mediata – Come fiction, tv, stampa e social raccontano il
continente in Italia», presentato oggi a Roma alla vigilia della Giornata
mondiale dell’informazione sullo sviluppo, mette il dito nella piaga su un
vizio capitale della nostra informazione: nei primi sei mesi del 2019 l’Africa
nei media italiani risulta quantitativamente poco presente. Amref, la più
grande organizzazione non governativa che si occupa di salute nel continente
africano, insieme all’autorevole Osservatorio di Pavia, ha preso in esame i Tg
delle reti nazionali (che sono per l’80% dei cittadini italiani l’unica fonte
informativa), i programmi di informazione e intrattenimento, le fiction e i
principali quotidiani. Alla presentazione, moderata dal conduttore Rai di Tv
Talk, Massimo Bernardini, alcuni dei protagonisti dell’informazione
analizzata, tra cui Lucia Duraccio, caporedattrice esteri del Tg1,
Laura Pertici, caporedattrice centrale di Repubblica, Maria
Cuffaro, conduttrice del Tg3 Mondo, e Marco Tarquinio, direttore di Avvenire.
E proprio il giornale cattolico è, tra le principali testate quotidiane
taliane, quello che secondo il dossier Amref fa la migliore informazione
sull’Africa.
Ebbene: nell’informazione solo il 2,4% di notizie riguarda il “continente
nero”. In Italia infatti, spiega il dossier, il racconto pubblico
sull’Africa si basa ancora e soprattutto su una narrazione distorta e su
stereotipi: «Avete mai visto su un Tg italiano una notizia “africana”
in chiave positiva, attrattiva, come sono soliti parlare di luoghi, artisti o
leader illuminati da Parigi, Londra, Roma o New York? Il “positivo
africano” è sempre solo natura selvaggia, animali, deserti, foreste».
Nell’informazione di prima serata e nelle prime pagine dei quotidiani la
maggior parte dei titoli riguarda l’Africa “qui”, e cioè immigrazione
e fatti di cronaca che coinvolgono gli africani presenti in Italia, e solo
marginalmente l’Africa “là”, quella vera. E nel racconto dell’Africa
in Italia la «gestione dei flussi migratori» è diventata la categoria tematica
più corposa del 2019, raccogliendo oltre la metà delle notizie sugli africani
in Italia nelle prime pagine dei quotidiani. Se ne deduce che c’è stato un evidente
“effetto propaganda”.
All’Africa vengono associate, nell’ordine, l’immigrazione via mare, la chiusura
dei porti, l’applicazione del decreto sicurezza e relative azioni nei confronti
delle Ong, il controllo delle frontiere: tutte questioni che nel 2019 hanno
dominato le prime pagine dei quotidiani e le aperture dei notiziari insieme
alle riflessioni sugli episodi di intolleranza e razzismo. Altra lacuna: per
gli italiani l’Africa si ferma alla Libia, cui i media nostrani dedicano la
maggioranza delle notizie sul continente. Appare solo qualche sprazzo di Africa
orientale, nonostante i legami storici con il Belpaese, ma riguarda
esclusivamente l’Etiopia, oltre che per la storica pace con l’Eritrea, per
l’incidente aereo del 10 marzo scorso in cui hanno perso la vita numerosi
cooperanti italiani. Poco o nulla si parla invece degli altri Stati del Corno,
l’oppressa Eritrea e la dilaniata Somalia, nonostante siano ancora italofone.
«In questo mondo – scrivono i ricercatori – il teatro geografico primario dell’informazione
sull’Africa e gli africani è l’Europa, poiché gli africani di cui si parla sono
essenzialmente i migranti». E ancora, travestite da news sull’Africa «passano
in realtà notizie sugli italiani, sulle nostre reazioni all’incontro con l’altro,
sulle frizioni interculturali e lo scontro fra diversità, sulle paure e psicosi
generate dal senso di insicurezza». Non esiste distinzione tra cittadini di
Paesi fra loro lontani per lingue, religioni e culture: la semplificazione
mediatica appiattisce tutti gli africani in una sola provenienza e li accomuna
nella situazione del “viaggio” e nello status omogeneo e
“definitivo” di migrante. In questa narrazione ansiogena prevale il
concetto di invasione e la minaccia alla “nostra” cultura e ai
“nostri” valori, prima ancora che una minaccia ai “nostri”
beni materiali.
Troppo penalizzata, inoltre, la voce “volontariato, non profit e
solidarietà”, relativa alle attività e agli interventi umanitari e
all’estero, che di fatto non entra nell’agenda dei notiziari. Una assenza
mediatica, come abbiamo scritto più volte, figlia di una certa visione e
stagione politica. Il direttore dell’istituto di sondaggi Ipsos, Nando
Pagnocelli, osserva che «la fiducia nelle organizzazioni non governative è
passata dall’80% del 2010 al 39% di oggi. E adesso solo il 22% degli italiani
pensa che siano mosse da intenti umanitari, mentre il 56% le giudica ispirate
da scopi economici». Non giovano a migliorare la narrazione le immagini a
corredo dei servizi sull’Africa “là”, identificate dal dossier in
cinque categorie ricorrenti che rafforzano nell’immaginario miti e stereotipi
sul continente africano: luoghi arretrati e inospitali, moltitudini minacciose
che tendono ad alimentare il concetto di sovraffollamento e di terra senza
speranza, animali selvaggi, volti e sguardi e simboli che alimentano il mito
della mancanza di progresso, del presente.
L’analisi di sei quotidiani nazionali (Avvenire, Corriere della Sera, Il
Fatto Quotidiano, Il Giornale, La Stampa, Repubblica) nel primo semestre
2019 rivela che le notizie dell’Africa “là” sulle prime pagine dei quotidiani
equivalgono al 18%. Quando l’Africa “là” entra nelle prime pagine, è centrale
nel 60% dei casi. L’agenda dei temi sull’Africa assegna un primato alle guerre
e al terrorismo (48,2%), segue la politica (28,4%), la cronaca (10,8%) e infine
il volontariato e il no profit (8,5%). Avvenire (43
titoli/articoli) e La Stampa (31) si distinguono come best
practices, dedicando più spazio a notizie provenienti dal continente africano.
All’estremo opposto si situa il Giornale, con il minor numero di
articoli sul continente africano “là” e allo stesso tempo il maggior numero di
articoli sull’Africa in Italia (ovvero immigrazione). Anche per Twitter, Avvenire risulta
la testata con un interesse verso l’Africa percentualmente più elevato (3,4%
dei tweet analizzati); tra gli altri Il Fatto Quotidiano raggiunge
l’1,3% e Libero lo 0,3.
Nelle fiction ancora troppo eurocentrismo. Negli episodi che hanno
rappresentato l’Africa e gli africani, su 304 personaggi analizzati il 72% sono
occidentali. Gli africani sono più di rado tra i protagonisti, con un minore
approfondimento psicologico. Anche il “livello culturale” appare
decisamente più elevato per i personaggi occidentali. Ma le tematiche più
trattate non ignorano la realtà e riguardano il razzismo, l’inclusione, i
diritti umani e civili e in misura minore la questione migratoria. E in alcune
serie emergono “protagonisti africani”, anche se troppo
occidentalizzati. Si potrebbe rimediare, suggerisce la ricerca, includendo
persone di origine africana non solo nei cast, ma anche nei ruoli produttivi,
nella fase di scrittura o nella regia. Una buona pratica “pedagogica”
delle fiction italiane è l’attribuzione di pregiudizi e comportamenti stereotipati
ai protagonisti (positivi) delle serie accompagnata dal loro graduale
superamento.
Da tempo Amref ha lanciato nel nostro Paese la sfida di una comunicazione
positiva sull’Africa e gli africani e ha redatto un decalogo per i comunicatori
– evidentemente poco conosciuto – non per negare problemi e oggettive
difficoltà, ma per restituire al dibattito dignità e dati di realtà e
concretezza. E tra i consigli, quello di provare a ragionare sulle
ripercussioni che le vicende africane possono avere in chiave italiana e quello
di consolidare la visione di un’Africa come “terra delle soluzioni”,
non solo di questioni insolubili. O quello di includere la voce e le idee degli
opinionisti africani e non utilizzare strumentalmente immagini di bambini
africani per non incorrere in sensazionalismo e pietismo. Punti spesso
disattesi dall’informazione italiana con esiti poco efficaci. «Gli sguardi
smarriti di bambini malnutriti e bisognosi, in condizioni di povertà estrema, o
di quelli salvati dallo sfruttamento e da un destino di guerra accompagnano
l’immaginario collettivo di un’Africa che senza aiuti occidentali non riesce a
curare e proteggere i propri figli e offrire loro un’infanzia dignitosa. Ne
risulta, o si rafforza, una visione dell’Africa come luogo inospitale, cristallizzato
in un eterno presente, senza progresso».
È insomma il momento di metterci al passo con i media occidentali più avanzati.
Non serve una rivoluzione, ma giornalismo che racconti fatti e selezioni
personaggi interessanti. E quindi non parlare più di una sola
“Africa”, appiattendo un continente complesso con 54 Stati, oltre un
miliardo di abitanti e 46.200 miliardi di dollari di risorse minerarie spesso
depredate. Con il 12% di questa incredibile somma il continente nero potrebbe
finanziare tutte le infrastrutture di cui ha bisogno. Dunque è tempo di
giustizia anche nei media, scoprendo le storie delle tante “Afriche”
e il loro patrimonio umano.